Hammamet con la moschea

Hammamet con la moschea 1914 199, Hammamet mit der mosque, 20,6 × 19,4 cm
acquarello su carta ritagliata e ricomposta su cartoncino, The Metropolitan Museum of Art New York
© The Metropolitan Museum of Art New York, The Berggruen Klee Collection

Nei giorni del Tunisreise, attraverso le sensazioni di una patria già sognata, lo spirito di Paul Klee viene letteralmente imbevuto dalla luce. Gli aromi, i profumi, le melodie e il colore di quella terra, l’intensità delle sensazioni di quei giorni, tradotte in luce dentro di lui, lo portano a svolgere il lavoro di pittore senza sforzo e a vivere un’unica, lunghissima ora felice, estranea al tempo, che sarà in grado di portare con sè per sempre. Io e il colore siamo tutt’uno. Viene posseduto dal colore. Le opere tunisine suggellano attimi di congiungimento dell’essere con il tutto, frutto di impressioni di carattere primigenio, in un contesto al 99% di realtà.

L’Io, il paesaggio e la teoria dello stile – arte, natura, Io – trovano modo di fondersi insieme attraverso la forza dello shock cromatico nordafricano. Quella che vive è una lunga esperienza iniziatica. La capacità di affermare il suo stile anche di fronte alla natura si completa: la sua formula poetica, che già descrive il mondo della tonalità, quindi dei toni del grigio, si arricchisce ora della capacità di afferrare il colore. Non parliamo della capacità di riprodurre un colore visto in natura. Il suo obiettivo è quello di completare le sue capacità di articolare la figurazione a partire dal Punto–grigio. Nella sua vicenda poetica si compie una sequenza analoga a quella che abbiamo osservato in occasione dell’intuizione e la definizione del Grau–Punkt: abbiamo una rivelazione ottenuta da un’esperienza iniziatica messa poi in chiaro nel Lascito pedagogico da una ricomposizione razionale.

Il Punto–grigio non è più solo bipolarità tra bianco e nero, si articola in un luogo mentale più complesso. Nella sera di una bellezza indescrivibile di Kairuan a Klee il colore appare nella sua natura, nella dimensione dove passa dal non essere all’essere, nella figura che chiamerà nei Contributi alla teoria della forma il Canone della totalità cromatica.

Il Canone della totalità cromatica. Principielle Ordnung, Ordine principale. BG I.2/156 © Zentrum Paul Klee, Bern

È necessario addentrarci ulteriormente nello spazio creativo di Klee. In esso abbiamo una concezione del colore diversa da quella alla quale siamo abituati. Nel Canone della totalità cromatica i colori non vivono distinti l’uno dall’altro. In ogni colore percepito vivono in potenza tutti i colori, la percezione dell’uno o dell’altro è solo virtuale e transitoria.

Ogni colore comincia dal suo nulla, vale a dire dal culmine del colore vicino, dapprima piano piano e poi sempre più crescendo fino a toccare il proprio culmine; prende quindi a diminuire lentamente, verso il suo nulla, cioè verso il culmine dell’altro colore adiacente. (...) Ma c’è ancora qualcosa: sul disco i colori non suonano a una voce, come potrebbe sembrare dalla catena, ma in una sorta di accordo a tre voci.

Questa rappresentazione è atta a farci vedere il movimento a tre voci e a seguirne il processo. A mo’ di canone le voci attaccano una dietro l’altra; in ciascuno dei tre punti principali culmina una voce, un’altra voce comincia piano a suonare e un’altra ancora si perde. Questa nuova figura potremmo chiamarla il canone della totalità.

TFF, p. 487

Sul disco i colori non suonano a una voce ma in una sorta di accordo a tre voci. Ecco che ora possiamo meglio comprendere la natura dell’accadimento della sera di Kairuan, il senso delle parole il colore mi possiede per sempre. Abbiamo visto che il Grau–Punkt non è solo luogo mentale dal quale far procedere un principio creativo ma coincide con la cellula originaria a partire dalla quale l’essere può procedere a ridisegnare la propria dimensione spirituale. Il passaggio che si compie in lui in questo accadimento è quello di vedere la propria potenzialità di rinascita estendersi e completarsi nella dimensione del colore. La nuova cellula originaria, quella che in potenza contiene tutta l’espressione del suo nuovo sé, vede l’asterisco esapartito in cui consiste il Grau-Punkt ampliarsi in un moto circolare che contiene in potenza ogni colore della sfera visibile.

Il Canone cromatico totale dai Contributi alla teoria della forma, Beiträge zur bildnerischen Formlehre, BF/183 © Zentrum Paul Klee, Berna

Lo vedremo presto: se Angelo porge ciò che è desiderato del 1913 rivela a Klee il potere del Punto–Grigio, il secondo angelo porta, attraverso la rivelazione della natura del colore, una completa capacità creativa di pittore. Come? Attraverso una nuova identità poetica: diventare egli stesso colore, nella forma di un sistema che ha in potenza tutti i colori, egli stesso tutt’uno con il tutto. Questa è la sostanza del momento iniziatico profondo in cui si traduce l’intera esperienza tunisina. Egli stesso diviene tutt’uno con la Luna multiforme – l’astro simbolico che domina il cielo della sua morte e rinascita – all’apparenza diversa nelle sue fasi ma nel profondo sempre sé stessa, indifferente al trascorrere del tempo e alle prospettive possibili, capace di contenere il tutto in ogni singola manifestazione di sé. Dal punto di vista grafico è qui che la sua arte raggiunge una valenza universale. Manca ancora qualcosa per dichiarare chiusa la sua formazione, ma è una questione interiore da risolversi nei prossimi anni, qualcosa che solo la lunga meditazione dei giorni solitari del servizio militare a Gersthofen potrà risolvere. Già da ora però la sua nuova identità poetica è compiuta: io stesso sono il sorgere della luna del Sud.

Nonostante nelle sue note sia posta tanta enfasi nel descrivere l’impatto che hanno su di lui i colori che lo circondano, gli acquerelli che Klee riporta a Monaco sono lontani dalla rappresentazione naturalistica. Confrontiamo questo acquerello, Kairuan con la moschea, con la formulazione grafica del rapporto Linea, medio, superficie tratto dai Contributi alla teoria della forma.

La parte centrale di quest’ultimo collima con il disegno a matita che sottende Hammamet con la moschea. La figura composta nell’acquerello e i colori che l’accompagnano sono più vicini allo schema dei Contributi e ai colori puri del Canone cromatico che non al paesaggio tunisino.

In Tunisia Klee raggiunge la definitiva strutturazione del rapporto tra linea e colore. Una volta stabilito questo, il colore si riversa nel quadro come elemento di valore puro. I colori che Klee vede in Tunisia sono speciali: colori altrettanto delicati che decisi. La loro caratteristica è quella di essere maggiormente saturi – anche quando delicati – ovvero privi della quantità di grigio normalmente presente in quelli che è abituato a vedere in Europa. In essi, inoltre, vive l’oscura forza del sole, non il valore del sole come fonte di illuminazione. Ovvero, Klee non si ferma all’apparenza che lega i colori alla presenza della luce solare. Nei colori non ci avvince l’illuminazione ma la luce. Più che un giorno splendente di sole, è ricca di fenomeni la luce lievemente velata. Lo sguardo di Klee prende forma nell’intimo, lontano dalla capacità del sole di illuminare. La fonte di energia che dà vita alla sua visione è luce interiore.

Questa è la specifica qualità dello sguardo di cui fa esperienza e che lo porta a una nuova consapevolezza: la natura del colore separata da quella della tonalità e della linea. Nel suo lavoro le linee vivono di un’energia la cui logica è interna al quadro, alla visione, più che alla replica geometrica dei fenomeni. Nella sua visione vive la linea come tale, una linea che non prende vita nel confine coloristico tra due elementi ma piuttosto nel rapporto che Klee descrive nei Contibuti alla teoria della forma tra l’elemento della linea e l’elemento della superficie. Il colore e la linea trovano nell’esperienza tunisina un loro rapporto specifico. Linea e superficie non hanno la stessa natura. Sono qualità semantiche che esistono in lui prima della visione diretta del fenomeno, principi innati che sono all’origine della figurazione.

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Nella pittura naturalistica (...) non ci sono linee come tali. Esse vi si rivelano soltanto come limiti di diverse macchie di tonalità o di colore. Nelle macchie tonali o colorate ogni impressione della natura può venir fissata in modo semplicissimo, spontaneo e immediato.
In questa pittura rigorosamente scientifico-naturalistica la linea apparirebbe come tale soltanto se si prescindesse dal colore, quindi in pittura tonale, e precisamente per sostituire il confine coloristico fra due superfici di eguale valore tonale e il diverso valore coloristico in natura.
Un’opera d’arte sorpassa il naturalismo quando la linea compare come elemento figurativo indipendente, come nei disegni e dipinti di Van Gogh e nelle grafie di Ensor.

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(...) È particolarmente interessante considerare a ritroso la formazione di Van Gogh, vedere come egli sia uscito senza fratture dall’impressionismo e tuttavia abbia creato qualcosa di nuovo.
La sua linea è nuova e insieme assai vecchia e per fortuna non è una questione europea di allevamento di una razza pura. Più che di rivoluzione si tratta di riforma.
Che ci sia una linea che profitti dell’impressionismo e a un tempo lo superi è un fatto assolutamente capace di elettrizzarmi.
«Concede la linea nel senso del progresso.»
Essa ha determinato la compatibilità fra le mie tenui irregolari lineette, tracciate a capriccio come dalle zampette di un animaluccio, e i saldi precisi limiti che le domano. E questo avrà ulteriori sviluppi nei miei disegni; sino alla linea che divora e digerisce quelle zampette. L’assimilazione. Oggi le mie superfici appaiono ancora un po’ vuote, ma non sarà più per molto!

È interessante vedere come il concetto di purezza compaia nelle sue annotazioni definendolo per contrasto, nel confronto con il terribile abbaglio che vede diffondersi attorno a lui, evidentemente: la questione europea di allevamento di una razza pura. Piuttosto, si confronta con l’affacciarsi sulla scena del suo paesaggio interiore di elementi grafici puri. Puri, e cioè non come siamo abituati a coglierli nel nostro sguardo, che domina solo la zona mediana, der medialen zone. In questa zona, la vedete al centro dello schema Linea, medio, superficie, gli elementi non vivono allo stato puro. L’artista deve sottrarsi a quell’ambito per poter poi accedervi di nuovo, dopo una iniziazione, e dare vita a una figurazione lontana dal mondo del tenace fango delle apparenze. In Hammamet con la moschea ne abbiamo una rappresentazione emblematica. Il tenue segno a matita del disegno preparatorio alla base della composizione è prima di ogni altra cosa un principio genetico, non una mimesi formale.

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La genesi come movimento formale è essenza dell’opera. All’inizio il motivo, applicazione dell’energia, sperma. Opere come creazione di forma in senso materiale: essenzialmente femminili. Opere come sperma determinante la forma: essenzialmente maschili. La mia produzione di disegni appartiene al campo maschile.

È sul disegno, sulla linea, che Klee basa l’essenza, la genesi, dell’opera in divenire. Il profilo della città si appoggia su di un delicato arco di cerchio. A destra le superfici colorate astratte disegnano una linea verticale che attraversa in altezza l’intero foglio. Nel cuore dell’acquerello la distanza tra realtà immanente e dimensione astratta si annulla. La superficie del foglio si apre, letteralmente, lasciando brillare al di sotto dei colori la luce del foglio. Il paesaggio diventa universo, il suolo diventa “sacro” e si apre su di un firmamento di stelle, come fosse un tappeto islamico per la preghiera. Non più sguardo fisico, la visione si scompone aprendosi davanti ai suoi occhi rivelando una figurazione vivente; questa è la qualità formale grazie alla quale, nel profondo della coscienza e attraverso il lavoro di artista, il paesaggio del mondo torna a essere parte di una dimensione universale. Attraverso l’opera Klee dà vita ad una dimensione spiritualmente abitabile: questa è la nuova patria.

Lo schema che disegna nei Contributi appare diviso in tre zone attraversate da un flusso lineare, che assume la forma del segno di infinito. A destra il dominio della superficie, a sinistra quello della linea. Al centro una zona definita “campo della zona mediana” e cioè una zona intermedia, nella quale gli ambiti puramente astratti della linea e della superficie si congiungono nel divenire della forma. È l’ambito intermedio della rappresentazione astratta, terreno di conquista di Klee, suo dominio, sostanza della sua energia psichica e patria metalogica. È il luogo d’esistenza della formula poetica kleeiana, tanto vitale per lui quanto per noi non trascurabile, in quanto rivelazione di uno dei significati possibili della realtà. Gli acquerelli tunisini descrivono in modo efficace questa dimensione intermedia, non completamente astratti eppure ben altro rispetto al mondo visibile; sono collocabili nel punto di massimo avvicinamento possibile al luogo imperscrutabile dal quale i principi dell’astrazione esercitano il proprio dominio sul mondo delle forme.

Quindi Klee in Hammamet con la moschea osserva il diagramma logico che organizza la composizione affiorare sulla superficie stessa del paesaggio e dare forma simultaneamente a quello e alla propria dimensione interiore. Le due diagonali al centro dell’acquerello, linee a matita che corrispondono al cuore della composizione, proseguono idealmente oltre i margini del foglio. Li superano, a completare la loro traiettoria imperscrutabile, percorrendo i territori inesplorabili dell’astrazione pura, situati oltre i limiti della percezione. Ancora un passo verso la conoscenza, quel passo che nessuno può compiere, e sulle parti bianche del foglio apparirebbe l’ordine universale che giace sotto la superficie dei fenomeni.

Klee descrive in una pagina densa di significati il procedimento compositivo che allude ad entità esterne alla cornice del quadro.

Caso straordinario, quello in cui tutto è ritagliato, in cui nessuna forma intera entra in campo. Dal punto di vista dell’espressione, ciò ha alcunché di straordinario. Si tratta in effetti d’un ampliamento occulto del campo d’azione (...) si ha l’impressione che solo una parte sia visibile, e che tutto il resto taccia ma sia ricostruibile coll’immaginazione.
Quel che conta, in questo procedimento, è che proprio la cosa più interessante e importante dell’intero processo sia quella staccata dal resto e resa percepibile.

Il concetto base del divenire, in Teoria della forma e della figurazione, p. 393.

In Hammamet con la moschea viene messa in pratica una tecnica capace di alludere all’irrappresentabile. E se quella allusione si compie lungo l’asse orizzontale del foglio un altro espediente creativo si svolge lungo l’asse verticale, e ci offre un ultimo dato importante per arricchire i dati della biopittografia kleeiana. Il foglio di Hammamet con la moschea è stato tagliato nella parte inferiore e ricomposto su cartoncino ricollocando in cima al quadro la striscia asportata in basso.

Idealmente la superficie dell’acquerello percorre lungo l’asse verticale un anello infinito, sulla linea di congiunzione del quale l’artista colloca sé stesso, tramite l’apposizione della firma. E la firma è stata apposta dopo la ricomposizione delle due parti del foglio, lo si può notare ingrandendo la fotografia.
Già Glaesemer e Fonti hanno appurato il valore dell’apposizione della firma come elemento figurativo indisgiungibile dall’equilibrio del quadro: “la firma stabilisce pesi, segna, segnala o sottolinea sequenze di movimento all’interno di una composizione”. Le esperienze iniziatiche tunisine hanno portato la superficie dei suoi fogli a partecipare a un movimento infinito. Klee stesso ora si rappresenta collocato sull’orlo di tale confine, come una bilancia tra il di qua e il di là. Assumiamo quindi questo dato: tornato dal viaggio in Tunisia, nel 1914 Paul Klee si trasferisce in bilico sull’infinito e lì resterà, per sempre.

957.
Che grande destino di essere come una bilancia fra il-di-là e il-di-qua, sul limitare fra l’ieri e l’oggi.

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Questa stella insegna a piegarsi